Non è un fumetto per donne di menare

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Nota enciclopedica: il termine “Cinema di Menare” è  stato coniato dal critico cinematografico e massimo esperto del settore Ermes del Monte Castagna, gradito ospite della trasmissione “610 – sei. uno. zero.” in onda su Rai Radio 2. Il termine “Donne di menare”, riferito alle eroine action, potrebbe essere invece esclusiva del vostro umile redattore qui scrivente.

Partiamo da un presupposto, nonostante cada (più o meno) in occasione dell’otto marzo, questo articolo non vuole essere una delle tante celebrazioni in odore di cattiva coscienza da parte di noi maschietti. E’ più un sassolino che da tempo mi stava nella scarpa e da tempo volevo figurativamente tirare in testa ai tanti autori del mio arcipelago preferito.

Brutto dirlo, ma alla fine l’otto marzo è per me quasi un pretesto per rimproverare i tanti disegnatori di manga “per ragazzi”, urlandogli: “Basta fare le cose a metà! Abbi rispetto dei tuoi personaggi!”.

Una delle principali accuse che vengono rivolte al manga (ed in genere al fumetto per adolescenti) e di “ipersessualizzare” le protagoniste femminili, mettendone in risalto in maniera eccessiva le grazie a scopo di “fan-service”. Non perderò tempo a negare che sia vero. Certo, non considerare che il fumetto per adolescenti sia fin dalle origini, condizionato dal canone greco del “bello e buono” (copia & incolla vienimi in soccorso!): καλός καί ἀγαθός è sempre stato un po’ il limite di queste critiche che mancavano di notare come gran parte degli eroi maschili sia stata, sopratutto in tempi recenti, “ipersessualizzata” . La realtà è che l’immaginario esaltato è diventato sempre di più quello della perfezione corporea e del “bello” come “vantaggio commerciale” indipendentemente dal genere, con il conseguente successo di vari espedienti voluti o incidentali come la “bromance” tanto ad occidente che ad oriente. Insomma di tutta questa esposizione, se qualcuno dovesse lamentarsi, sarebbero prima di tutto, che so… i recensori di fumetto ultra quarantenni con la pancetta a cui non viene dedicato nessun fumetto. Ma sto divagando.

Ma, come detto, è disonesto negare che “mostrare un po’ di gambe” non aiuti a vendere. In un mercato per definizione creato per giovani adolescenti maschi in piena tempesta ormonale, in un paese come il Giappone che ancora deve fare i conti con un maschilismo radicato quasi quanto quello italiano (ma non vorrei si pensasse che ci riescano a battere, eh, tranquilli che grazie alle ultime notizie di cronaca e politica “ce la giochiamo”).

Il problema, come dicevo, è più un problema di coerenza. Per quanto detto sopra, il punto è innanzitutto che nel manga in generale, protagoniste “forti” sono comunque una minoranza. Nel “seinen” (manga per persone mature) sono state abbastanza frequenti fin dai tempi del fondatore Osamu Tezuka, sopratutto nel seinen storico ambientato nel dopoguerra, in cui solo il negazionismo più spinto avrebbe potuto ignorare che la ricostruzione della nazione devastata (un po’ come in tutti i paesi coinvolti in quello stupido massacro) venne sostenuta dal sudore e dalla forza di milioni di donne. Nonne, madri, figlie e nipoti si rimboccarono le maniche (non che prima…) e fecero ogni tipo di lavoro al posto dei soldati macellati dal conflitto.
Ma anche quando la narrazione si muoveva su altri campi, dalla denuncia sociale fino al thriller, almeno qualche “protagonistA” ha dominato le scene.

Donne forti e fanservice(?) nel Seinen “I Giorni della Sposa”

Nello shonen, sopratutto nello shonen “d’azione”, la “protagonista” è rara e la “co-protagonista” d’azione è ancora più rara. Le “donne di menare”, diciamocelo, latitano se paragonate ai Comics americani in cui raggiungono, almeno, una proporzione di una ogni tre o se paragonate con la scuola latinoamericana in cui in alcuni periodi erano arrivate a giocarsi una distribuzione quasi paritaria.
Ma, di nuovo, questo non è realmente un problema di coerenza: ogni autore si sceglie i personaggi secondo l’immaginario che vuole creare. Se un autore è limitato a immaginari in cui le ragazze sono solo “principesse in pericolo”: motori di trama funzionali a far muovere l’eroe e interessanti come la statuina segnatempo nel salotto buono della zia (ciao Lynn, ciao Julia, siete sempre nei nostri cuori, salutate Ken quando lo vedete) questa è e resta una prerogativa dell’autore.

Quante sberle ti avrei dato…

E’ piuttosto quando la “donna di menare” c’è, che nel manga shonen d’azione, 98 volte su 100, casca l’asino.
La tragica realtà è che nel manga shonen d’azione, tranne una percentuale quasi risibile, molto spesso la “donna di menare” ha più o meno la stessa autonomia narrativa della “principessa in pericolo”. Con l’aggravante che, molto spesso, tanto più la sua “introduzione” ha calcato la mano su quanto eccezionali siano le sue caratteristiche e quanto possa competere, anzi superare, ogni maschio, tanto più il suo futuro è costellato di vergognose sconfitte e, a seconda della spregiudicatezza dell’autore, denudamenti parziali e totali ad uso di eroe (maschio) e lettore (maschio).
In linea generale comunque, esposizione di nudità a parte, innumerevoli sono le co-protagoniste d’azione che hanno iniziato la loro carriera come tigri e sono finite come innocue gattine: catturate, narcotizzate, ipnotizzate, ricattate, sempre in attesa che l’eroe le affrancasse da un nemico soverchiante a suon di sberle.

Orihime, un personaggio sprecato – “Bleach!”

Eccezioni ovviamente se ne sono avute e vale la pena di ricordarne alcune di indubbio pregio. Certamente Hiromu Arakawa in Full Metal Alchemist mette in campo un quintetto di donne che, pur avendo molta fiducia nei rispettivi partner, fanno un punto d’onore di tirarsi fuori dagli impicci con le loro forze. Ricordiamo quindi la terrificante maestra d’alchimia Izumi Curtis che, pur essendo in grado di debellare esseri sovrumani senza manco spettinarsi, ribadisce fieramente di essere “solo una casalinga”.

Quando sentite questo, cominciate a correre! “Full Metal Alchemist”

La giovane meccanica Winry Rockbell che affianca e sostiene i due protagonisti nei momenti più rischiosi del loro percorso di maturazione. Il tenente Elizabeth “Risa” Hawkeye la cui dedizione di soldato è inflessibile quasi quanto la capacità di valutazione da cecchino è infallibile. Il generale Oliver Milla Armstrong, una parete di ghiaccio inscalfibile parata a difesa della sua divisione. E Lan Fan guardia del corpo dedita al suo giovane principe fino al sacrificio.

Occhi di falco e bell’aspetto. Riza in “Full Metal Alchemist”.

Certo, si potrebbe argomentare che difficilmente ci possono essere autori più lontani dal concetto di fanservice della solida e pratica ex-contadina divenuta mangaka, Hiromu Arakawa.

Maschio e piuttosto sincero nei suoi gusti (pure troppo) è sempre stato Ogure Ito, che venendo da una gavetta di disegnatore di manga pornografici, non si è mai fatto troppi problemi a mostrare le co-protagoniste dei suoi manga spogliate e spesso coinvolte (a volte contro la loro volontà) in scene di sesso. Ma anche quando momentaneamente vittime, le sue belle protagoniste sono sempre state più che in grado di restituire con gli interessi quanto subito, senza fare troppi distinguo sul sesso e la condizione del bersaglio. Consce della fortuna di essere belle ma in nessun modo disposte ad accettare qualsiasi cosa non fossero in grado di ottenere con le loro forze, o con la forza punto. Delle donne samurai in grado di soffocare più di una volta i propri sentimenti e opporsi al ragazzo (protagonista) da loro scelto, potenza contro potenza.

Liti tra innamorati risolte ad affondi di ginocchio in “Air Gear”

Le ragazze di Ogure Ito sono assolutamente simili alle protagoniste dei videogame BayonettaLollipop Chainsaw come descritte in questo articolo donne che, parafrasando non ricordo più chi: “Portano le tette per piacere a sè stesse, non per piacere A TE!”.
Peccato per la brutta abitudine dell’autore di “buttare tutto in feuilleton” con complotti di dominazione mondiale, malvagi fratelli gemelli di fratelli ancora più cattivi, “Luke io sono tuo padre, tuo nonno e anche tuo bisnonno!”, sorelle che non sono sorelle manco delle loro sorelle e chi più ne ha più ne butti. Mannaggia.

Infine ci sono “eccezioni al contrario” come il manga (anzi, essendo coreano, “manwa”)  Freezing!, il cui discreto successo gli ha meritato la trasposizione in anime, che nel classico scenario “umani contro misteriosi alieni” mette in scena una Accademia destinata ad addestrare le “Pandora”: ragazze geneticamente modificate in grado di combattere in corpo a corpo con titaniche ed imperscrutabili entità. Essendoci di mezzo una scuola superiore e delle studentesse guerriere, non stupirà nessuno scoprire che siamo nel canonico “action scolastico” in cui l’outsider sfida la gerarchia stabilita a suon di mazzate.

Discussioni sulla gerarchia tra le ragazze di “Freezing!”

E fin qui andrebbe bene: le ragazze di Freezing! non lesinano certo sforzi nel tentare di annientarsi a vicenda, complice anche il comodo espediente di capacità autorigeneranti quasi divine. Nonostante gli abiti da cameriere vittoriane (… sono in un manga, facciamocene una ragione) sono combattenti in un manga di combattimento. L’asino casca quando il lettore realizza, con molto fastidio, che esiste anche un protagonista maschile il cui ruolo sarebbe di “supporter logistico” ma che nel 99% dei casi è intento a richiamare le infervorate combattenti al dialogo ed alla riappacificazione. Che non sarebbe neanche negativo, non fosse per lo strisciante sospetto che questa “eccezione al contrario”, sia talmente al contrario che “fa il giro” e da una visione pur bellicista di donne autonome e determinate va a mettere “la voce della ragione” in bocca al piagnucoloso “principesso”.

Se mi sono voluto concentrare sulle eccezioni è anche per brevità e mi creda il lettore che se avessi voluto elencare i manga che seguono la regola dettata all’inizio, avrei potuto andare avanti per giorni.
Il succo del discorso è quello espresso all’inizio: il manga d’azione degli ultimi decenni ha progressivamente scoperto il fascino, anche sensuale, delle “donne di menare”, ma molto raramente ha voluto rendere alla loro forza e determinazione gli stessi riconoscimenti dati agli omologhi maschi.
Il che è ingiusto e probabilmente anche meno divertente che non il contrario. Insomma: sono i vostri personaggi, trattateli con rispetto.

Luca Cerutti

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